FENOMENOLOGIA CLINICA DELL'ALCOLISMO

di Diana Perazza

(Segretario Generale dell'A.P.M. - Associazione Psicologi e Medici)

Articolo già pubblicato in: D. Perazza e R. Picozzi (1994) "La realtà del povero bevitore", Melusina Editrice, Roma; ripubblichiamo l'articolo in Psychomedia per gentile concessione del Dr. Francesco Cerquetelli, Direttore della Melusina Editrice S.r.l. - Via Monte Zebio, 30 - Roma


Il soggetto che diventa alcolista ha sempre una patologia di base: spesso proviene da una famiglia povera, in cui uno dei genitori è assente o fisicamente o emotivamente; altrettanto pesso una figura parentale (madre, padre, zio, nonno ...) è stata un forte bevitore o un alcolista. Il soggetto che proviene da questo ambiente emotivo ha uno scarso confronto con i genitori e con il mondo esterno; questo fa sì che in lui si instauri un bisogno di dipendenza.

L'alcolista è una persona con un Io fragile; ha bisogno dell'alcool per stare insieme agli altri e quindi per avere un rapporto oggettuale meno difficile. Tra i meccanismi adottati dall'alcolista, la negazione è quello che rappresenta meglio il suo stile di vita. L'alcolista nega infatti di essere tale, affermando, tra l'altro, di poter fare a meno dell'alcool.

La differenza tra l'alcolista e il tossicodipendente sta nel fatto che il primo ha una fissazione alla fase orale (gusto nel palato, labbra, ecc.); il secondo invece è come se non fosse ancora arrivato alla fase orale, come se avesse il cordone ombelicale ancora attaccato alla madre.

Il tossicodipendente ha una personalità masochistica (il buco e tutto il rituale sono masochistici) e fortemente narcisistica: attraverso l'assunzione della sostanza egli sente il proprio dominio sugli altri, sente di non aver bisogno di nessuno. Il tossicodipendente ha una mentalità delinquenziale e un processo di pensiero pervertito, cioè, è pronto a rubare e a prostituirsi.

Anche la famiglia dell'alcolista e del tossicodipendente sono diverse tra loro. Nella famiglia di origine del tossicodipendente spesso la coppia madre-padre è in crisi; la madre è profondamente narcisistica, incapace di qualsiasi aspetto depressivo e vive col figlio un rapporto privilegiato. Il figlio vive in simbiosi con la madre (perciò è come se non fosse mai nato, non ha bisogno di rapporti), escludendo la terza persona, il padre; persistendo nel proprio comportamento, il tossicodipendente svolge il ruolo più adatto alla funzionalità della coppia e questo aumenta il suo senso di onnipotenza. Attualmente per il tossicodipendente c'è la "terapia" del metadone, la terapia familiare, la comunità e, in certe particolari situazioni, la terapia ad orientamento psicoanalitico.

L'alcolista ha una personalità a carattere depressivo, con spunti paranoici e con sensi di colpa molto accentuati; solitamente egli inizia a bere per calmare i suoi stati d'ansia e di colpa, che derivano da un Io persecutorio e punitivo. Nella famiglia di origine spesso il padre era un alcolista, mancano perciò nel figlio i legami affettivi e, di conseguenza, egli non riesce a riparare il legame con i genitori e con gli altri. Nella famiglia che si è formata, l'alcolista ha un rapporto di coppia di tipo sado-masochista, che rende i due coniugi fortemente dipendenti l'una dall'altra. A "guardiano" di questo legame patologico viene chiamata la moglie, ma nel rapporto manca e mancherà l'idea della riparazione, che potrà essere possibile solo intervenendo dall'esterno.

Nonostante la sua patologia, la coppia può andare avanti per anni, in un certo equilibrio (non sano); quando però l'alcolista smette di bere, la partner generalmente cade in depressione, si sente abbandonata, non può più giocare certe parti aggressive contro il compagno, non può più proiettarsi nell'altro. In questo tipo di famiglia il figlio viene sicuramente danneggiato: il ragazzo si trova a crescere con un forte bisogno di identificazione con un modello genitoriale positivo, modello che però gli verrà inesorabilmente a mancare.

L'alcolista ha spesso una nevrosi di tipo ossessivo e l'identificazione del figlio col padre è molto deprimente: il ragazzo cresce con grandi insicurezze; l'alcolista tra l'altro è anche aggressivo e il figlio acquista un Io rigido e perverso, un carattere ossessivo: egli deve essere rassicurato da un rituale preciso, da situazioni dove tutto è controllato.

Cadendo i valori dell'ideale dell'Io, inesorabilmente si fa avanti la depressione che assume dimensioni preoccupanti: dinanzi al crollo dell'ideale dell'Io e alla depressione, non si può reagire e allora subentra il masochismo. Si forma così una catena senza fine, che può portare anche il ragazzo a "bere" o a drogarsi. L'alcolista può trovare una terapia per il suo "problema" nei gruppi di Alcolisti Anonimi, che svolgono un ruolo atto all'identificazione e, ancor più un ruolo di contenitore per quei problemi di un Io molto fragile, un Io che si frammenta.

Vedi http://www.psychomedia.it/pm/answer/addiction/perazz1a.htm.